Shabbat Shuvah 4 ottobre 2019

Nell’imminente Giorno dell’Espiazione confesseremo i nostri peccati. Reciteremo una vera litania di trasgressioni. Ashamnu, bagadnu, dibarnu dofi. Abbiamo peccato. Abbiamo trasgredito. Abbiamo preso la strada sbagliata. Il libro delle preghiere lo chiama il catalogo dei dolori.

Nonostante qualcuno possa non essere d’accordo, trovo grande significato e, sì, perfino saggezza in questa deprimente enumerazione di azioni commesse e non commesse. Poiché che altro è questo catalogo dei nostri fallimenti se non la fotografia in negativo, l’immagine al contrario di come ci si aspetta che conduciamo le nostre vite? Sì, confessiamo indifferenza, disonestà, irresponsabilità. Il che significa solo che ci viene comandato di essere onesti, responsabili e compassionevolmente preoccupati dei bisogni degli altri.

Ma perché dipingere l’immagine in toni tanto cupi? Perché non evidenziare il positivo e la nostra capacità di raggiungere risultati elevati? Non sarebbe meglio fare appello ai nostri istinti superiori? La risposta a questa domanda è no.

I nostri saggi hanno scritto dello yetzer, un’energia umana straordinariamente primordiale, e hanno parlato di due impulsi, due pulsioni dentro di noi. Una, lo yetzer tov, è la nostra buona inclinazione, mentre l’altra è l’inclinazione al male, lo yetzer hara. E i rabbini hanno aggiunto che l’inclinazione al male ha 13 anni più di quella buona. In altre parole, l’inclinazione al male è presente virtualmente dalla nascita. L’inclinazione al bene appare molto più tardi.

Il problema è che l’impulso a cedere allo yetzer hara è forte. La buona notizia è che siamo in grado di vincere questo impulso e spesso lo dominiamo. La notizia migliore è che, anche dopo aver ceduto allo yetzer hara, siamo in grado di crescere e cambiare, e quando lo facciamo la nostra tradizione lo chiama tshuvah, pentimento, ritorno. Questo Shabbat è conosciuto come Shabbat Shuvah, lo Shabbat del Ritorno.

L’espiazione e il ritorno, tuttavia, si basano sulla nostra capacità di riconoscere ciò che è giusto e ciò che è sbagliato, e di vedere dove e come ci siamo smarriti. Per questo motivo Yom Kippur ci fornisce un catalogo di errori ed evidenzia tutto ciò in cui abbiamo fallito.

I nostri saggi insegnano che l’arma più grande contro l’impulso malvagio è la Torah. La Torah qui è da intendere come una bussola morale che descrive un ordine di vita che non deve essere violato. Ci sono azioni che non devono essere compiute. L’elenco di tali azioni costituisce i dettagli della nostra confessione di Yom Kippur.

Alcuni anni fa ci fu un incontro di pugilato a New York. L’ex campione dei pesi massimi George Foreman era presente, e quella notte nell’arena si scatenò l’inferno. I pugili, i loro manager, perfino gli spettatori sugli spalti iniziarono a picchiarsi l’un l’altro. Ci vollero 150 poliziotti per riportare la situazione sotto controllo. Quella notte George Foreman ebbe un ruolo importante nell’aiutare a ristabilire l’ordine. Era in piedi sul ring, una presenza alta, possente e imponente, e quando qualcuno stava per iniziare a fare qualcosa di distruttivo, Forman si limitava a guardarlo e diceva con calma: “Non vuoi farlo. Non vuoi farlo”.

Un mondo con la Torah ha una luce guida, un messaggio ripetuto continuamente che dice, rispetto a certe cose: “Non vuoi farlo”. E se lo fai, sei tenuto a provare senso di colpa e rimorso e perfino vergogna. Per questo la nostra confessione è formulata in modo negativo. Certe cose sono inaccettabili, e se hai commesso tali cose hai bisogno di pentimento, perdono e ritorno. Un mondo con la Torah è un mondo in cui, quando abbiamo violato la legge morale, lo sappiamo.

La grande tragedia dei nostri tempi è che così tanti hanno negato la distinzione tra il bene e il male. Quando tutta la virtù è relativa, lo è anche il vizio. Ma Yom Kippur viene per dirci che ci sono cose che non dobbiamo fare. I principi sono semplici. Applicarli può essere difficile.

 In questo periodo siamo chiamati ad applicare i principi alle nostre vite, perché i principi sono giusti, e a non abbandonare mai i principi solo perché lo sforzo è duro.

Perché? Perché voi ed io abbiamo la capacità di fare molto bene e molto male. Ciascuno di noi continua ad essere un campo di battaglia tra yetzer tov e yetzer hara. Abbandonare i nostri principi, la nostra bussola morale, significa cedere all’inclinazione malvagia, e io sono qui per dirvi: “Non volete farlo”.

 Shabbat Shalom

g’mar chatimah tovah.

Possiate ricevere un sigillo finale di benedizione nel Libro della Vita.

Shabbat Shalom

Rabbi Whiman