Parasha – 17 Dicembre – Vayeshev - Genesi 37:1−40:23

Blog della URJ di questa settimana:

La storia di Giuseppe è la storia più lunga nella Torah e una delle più famose in tutta la Bibbia ebraica. Questo testo ha ispirato molti commenti tradizionali e moderni e nuove interpretazioni nel corso degli anni. Mentre queste presentazioni offrono la storia principale di Giuseppe e dei suoi fratelli, raramente affrontano la sua oscura realtà: E’ un monito al non ignorare problemi in famiglia ed i suoi risultati disastrosi.

Si parla molto della giacca colorata di Giuseppe, è un dono unico all’undicesimo di dodici figli e un gesto che sa di favoritismo. Il favoritismo è stato un fattore in quasi ogni generazione nel libro della Genesi: Caino e Abele,  Ismale ed Isacco, Esaù e Giacobbe, Lea e Rachele. Giacobbe subì il dolore di un comportamento irresponsabile, eppure, come vediamo in Parashat Vayeishev,  egli ripete lo stesso errore di cui fu vittima.

Sì, Giuseppe è il protagonista della storia, ma questa storia si basa sui ritmi e le realtà della vita di Giacobbe. Il suo nome, Ya’akov, significa “colui che segue la via storta.” Raramente Giacobbe affronta i problemi direttamente; la sua natura passiva fu stabilita dinanzi a suo padre non vedente, nei panni di suo fratello, seguendo gli ordini di sua madre. Nel come si rapporta a suo figlio, si vede che certi schemi comportamentali sono difficili da abbandonare.

All’inizio di Vayeishev, leggiamo dei famosi sogni di Giuseppe e la potente animosità nei suoi confronti da parte dei suoi fratelli, un animosità che sarebbe stata prevalente in qualsiasi famiglia in quelle circostanze. Come rispose Giacobbe? “I suoi fratelli perciò erano invidiosi di lui, ma suo padre tenne in mente la cosa.” (Genesi 37:11).  La sua reazione fu di tenere a mente l’evento o forse di evitare di affrontare la verità, che lasciò crescere. La verità non cambia quando ci nascondiamo nell’ombra; rimane. Non possiamo sperare che scompaia o tenere coloro che amiamo lontani da dure realtà.

In una famiglia, o in un altro sistema intimo, è troppo facile permettere che certe realtà crescano. Spesso scegliamo di non affrontare argomenti difficili. Ciò nonostante, mentre potrebbe sembrare rischioso affrontare difficoltà ed animosità di lunga durata, l’alternativa può essere molto peggiore. Considerate un dettaglio, spesso ignorato nella storia di Giuseppe: Mentre i suoi fratelli stavano considerando di ucciderlo con le loro mani, non erano disposti o capaci di fare ciò. Invece, “lo afferrarono e lo gettarono nella cisterna: era una cisterna vuota, senz'acqua. Poi sedettero per prendere cibo. “(Genesi 37:24-25)

Rabbi Ovadia Seforno indica che: “Ai loro occhi, non videro questa situazione come un ostacolo o barriera per sedersi a mangiare insieme”. L’odio che avevano per il loro fratello aveva forgiato il loro carattere cosi profondamente che non vedevano come crudele il fatto di mangiare mentre il loro fratello era stato lasciato morire di fame.

Secondo Seforno, si convinsero che Giuseppe era un rodef, un criminale, e la legge ebraica permette la protezione della propria vita come forma di autodifesa. Detto questo, quando qualcuno cerca di ucciderci o di farci del male, siamo legittimati a reagire. I fratelli di Giuseppe sembrano aver sfruttato questo concetto, per loro Giuseppe rappresentava una minaccia mortale, quando in realtà non era altro che fastidioso, il prodotto di un comportamento poco salutare da parte di un genitore.

Il commentatore Malbim lo spiega chiaramente: I fratelli si consideravano tzaddikim; tutto ciò che fecero era giusto e retto semplicemente perché furono loro a farlo. Quando Giacobbe fu incurante, egoista e sconsiderato nel suo agire da genitore, creò arroganza e odio nei suoi figli. Nel commento di Malbim, vediamo anche la soluzione a questo problema: l’umiltà. Se vogliamo vivere in una società ed avere una famiglia salutare, dobbiamo sfidarci a crescere piuttosto che giudicare gli altri. Dobbiamo vedere la bellezza creata in ogni essere umano, inclusi coloro che ci rendono la vita difficile, ed abbracciare la crescita di cui abbiamo bisogno.

Che gli elementi dolorosi della storia di Giuseppe ci ispirino a vedere le nostre vite e quelle degli altri diversamente.

RABBI MICHAEL DOLGIN