Parasha – 24 Dicembre – Miketz - Genesis 41:1−44:17

Blog della URJ di questa settimana:

Imparare, commentare e reagire agli insegnamenti della Torah sono un’esperienza personale, o almeno lo dovrebbe essere. Come tutti i libri della Torah, il nostro rapporto con Genesi diventa più profondo ogni anno che la rivisitiamo. Per me, una parte significativa di Genesi è Parashat Mikeitz.

Durante il mio primo anno di studi rabbinici presso la Hebrew Union College-Jewish Institute of Religion (HUC-JIR) a Gerusalemme, diedi il mio primo d’var Torah su Mikeitz, concentrandomi sulla storia di Giuseppe. Vivendo a Gerusalemme quell’anno, comprai la mia prima copia di Mikraot Gedolot, una stampa della Torah contenente i commenti tradizionali, e durante l’inverno del 1987, mi sedetti in compagnia di questo volume sacro e mi misi a riflettere su questa parashah.

Le sue parole iniziali sono “sh’natayim yamim” – o “al termine di due anni” – mi ispirò a parlare dell’importanza del riflettere sui nostri giorni durante questo periodo buio dell’anno e sfruttare al massimo i giorni che ci attendono. Seduto nel mio appartamento a Gerusalemme, tenendo tra le braccia questo libro e cercando un insegnamento da condividere con i miei compagni, non mi sarei mai immaginato cosa sarebbe accaduto durante l’autunno e l’inverno del 2020.

 

Ora mi trovo nel mio appartamento a Toronto, dove ho servito il Temple Sinai per gli ultimi 28.5 anni, con lo stesso volume contenente gli stessi commenti scritti centinaia di anni fa. Ai tempi nessuno poteva immaginare che vi sarebbe stata una pandemia globale, né si potevano immaginare gli strumenti digitali che ci collegano nonostante la pandemia. Sì, il mondo è cambiato; e sono cambiato anch’io.

Nonostante non mi ricordi quale commento specifico della Torah mi ispirasse 33 anni fa, quest’anno mi trovo particolarmente attratto dalle parole di K’li Yakar, il commento di Rabbi Shlomo Ephraim ben Aaron Luntschitz (1550–1619), che fu il rabbino di Praga dal 1604 al 1619. Nonostante abbia reverenza per R. Luntschitz  in quanto insegnante, nel corso degli anni lo sento più come un amico. Quando ho bisogno di parole guida, le posso trovare nei suoi scritti. I suoi commenti sulla parashah  di questa settimana si concentrano sull’umiltà rapportata all’apprendimento.

Alla fine della porzione di settimana scorsa, Giuseppe chiede al portatore della coppa del faraone di intercedere per lui con il sovrano e salvarlo. I nostri saggi vedono Giuseppe avere fede in Dio in questo senso. Avere tale fede non è facile, richiede che il Santissimo si interessi alle nostre vite. Naturalmente molti di noi hanno dubbi in merito. Nel  K’li Yakar, R. Luntschitz propone che il Santissimo dovrebbe essere il nostro modello. Proprio come Dio si interessa a noi, dovremmo interessarci di tutti, ascoltarli e rispettarli, indipendentemente dal loro “livello” di apprendimento, istruzione o esperienza.

Come è scritto nel commento alla prima riga della porzione:

“Fa parte del mondo che quando una persona ha raggiunto un livello superiore per ciò che riguarda una caratteristica o forza personale, [essi cessino] di curarsi dell’individuo ad un livello inferiore e di nominarlo.”

Molti di noi tendono verso una gerarchia.  Comprendiamo il nostro ruolo in vita paragonandoci a coloro che vediamo più in alto o più in basso di noi. Il riconoscere questa inclinazione crea l’opportunità di superarla.

Un altro alleato nella crescita personale è la longevità. Da quando incontrai questo testo più di trent’anni fa, ed avendolo studiato diverse volte da allora, il suo messaggio riecheggia in me, più forte di sempre. Nel corso degli anni, questo testo divenne la porzione di bar mitzvah di mio figlio.

Cosa ho imparato da questo viaggio? Ho imparato che devo sentire più reazioni possibili a queste antiche parole. Devo sapere che messaggio rappresentano sia per insegnanti che per studenti, per professori e neofiti, per studenti biblici e coloro che ancora non sanno leggere la lingua nativa della Torah.

Ho imparato che ognuno di noi possiede le parole della Torah; che possediamo la Torah quando ci rendiamo conto che non è esclusivamente nostra e che le sue molteplici interpretazioni non sono nostre da valutare.

Questa settimana discutete le parole di Mikeitz con qualcuno che crede o vive diversamente da voi. L’esperienza arricchirà entrambi.

 RABBI MICHAEL DOLGIN