Shabbat Vayigash

In Vayigash, il passo della Torà di questa settimana, la storia di Giuseppe giunge al suo apice drammatico. In Egitto, Giuseppe era arrivato ad ottenere importanza e potere, e quando i suoi fratelli vennero da lui per comprare del grano non lo riconobbero. Giuseppe si prese gioco di loro, li accusò di essere spie e prese in ostaggio Beniamino, il più giovane dei fratelli. Più avanti si legge che suo fratello Giuda gli si avvicinò e si offrì di diventare suo schiavo in cambio della libertà di Beniamino. La parola ebraica vayigash significa “e si avvicinò”.

Una dei commenti rabbinici in merito dice che mentre Giuda si avvicinava aveva già un piano ed una strategia in mente. In primis, avrebbe lusingato Giuseppe, per poi cercare di ragionare con lui. Se questo piano fosse fallito, avrebbe discusso con lui, per poi passare alla forza bruta, se necessario, per aiutare Beniamino. La sua ultima risorsa nonché arma finale, se tutto il resto fosse fallito, sarebbe stata di pregare.

Nonostante gli insegnamenti dei nostri antenati rabbini, oggi giorno non vedremmo la preghiera come arma e nemmeno come mezzo più efficace per raggiungere un determinato scopo. Io credo che molti, se non tutti, vedano la preghiera come l’ordinare qualcosa da Amazon, una richiesta teologica per beni, servizi e benedizioni, con un tempo di consegna meno prevedibile. La preghiera ebraica infatti fa parte di un discorso religioso di supplicazione. Ma c’è di più.

Vi è un passaggio in “Gates of Prayer”, il precedente libro di preghiere del movimento Reform Americano, che recita : “La preghiera non porterà acqua ad un campo secco, non riparerà un ponte infranto, nè ricostruirà una città devastata; ma la preghiera può dare acqua ad un’anima arida, riparare un cuore infranto e rincuorare una debole volontà d’animo.”  Vi è una grande verità in questa formula, ed in questo senso credo che la preghiera abbia un suo potere.

E c’è un ulteriore spunto di riflessione. Ho letto che Beethoven scriveva musica che non poteva essere adeguatamente eseguita con gli strumenti della sua epoca. La musica di Beethoven era una forma di preghiera. Diceva “Dammi strumenti domani su cui possa suonare la musica di oggi.”

C'è una parte delle Alpi terribilmente ripida, chiamata Semmering. Nel 1848 su queste montagne venne iniziata la messa in opera di binari per il collegamento ferroviario tra Vienna e Venezia. Anche in questo caso i binari vennero installati ben prima che ci fossero locomotive abbastanza potenti per usarli. Il tratto del Semmering è a suo modo un tipo di preghiera. Diceva “Costruiscimi un treno domani che possa passare su queste rotaie che ho costruito oggi.” 

Secondo la tradizione Reform, la preghiera è un modo di mandare un messaggio al mondo, quello che potremmo definire “ciò in cui speriamo ma ancora non c’è”, questo includerebbe la giustizia, l’uguaglianza, la serenità, la libertà, l’autorealizzazione e la pace. Secondo l’ebraismo, è un modo di dare una raffigurazione di ciò in cui anche Dio spera per noi e per il mondo, ma che ancora non c’è. Concepita in questa maniera, la preghiera ci serve da potente ricordo di agire in modo tale per cui avvenga ciò in cui speriamo ma che ancora non c’è.

Credo che questo pensiero fosse dietro ad un altro passaggio del “Gates of Prayer”: Prega come se tutto dipendesse da Dio. Agisci come se tutto dipendesse da te. 

Shabbat shalom.