Shabbat Tzav 22 Marzo, 2019

Parashat Tzav continua l’elenco dei sacrifici portati dagli Israeliti all’antico tempio. Oltre alle offerte sotto forma di olocausti e dimostrazioni di pentimento ordinate dalle sacre scritture, viene fatto riferimento allo zevach ha-todah, l’offerta di ringraziamento.

L’offerta di ringraziamento derivava dal sacrificio del benessere – il modo in cui la Torà spiega come la gratitudine sia un prerequisito o comunque un componente essenziale per un’esistenza salutare e motivata. Diversi studi scientifici danno credito a questo pensiero: pare che le persone grate abbiano sette anni in più di aspettativa di vita.

Viene in mente la classica storia di una mamma ebrea e di suo figlio, che stavano giocando in riva al mare. All’improvviso una enorme onda porta via il bambino dalla mamma. Terrorizzata, la madre urla “Dio, salva il mio bambino!” Di risposta, una seconda onda enorme porta a riva il bambino. A quel punto la madre alza gli occhi verso il cielo e dice “Aveva anche un cappello.”

Questa da luogo alla domanda: noi esseri umani siamo naturalmente portati alla gratitudine o no?

Credo che l’ebraismo abbia due opinioni in merito. Il fatto che sia mitzvà, un atto di bontà e un comandamento recitare una benedizione prima di mangiare, indica quanto sia facile ritenere qualsiasi cosa come dovuta.

 Una volta un rabbino chiese ai suoi discepoli: “Sapete la differenza tra voi e me? Voi recitate una benedizione per poter mangiare una mela. Io mangio la mela in modo da poter recitare la benedizione.” In altre parole, ogni berachà può essere vista come un invito ebraico ritualizzato oppure come un ordine di prendersi un momento per riflettere e prendere nota delle benedizioni di cui si godrà. Credo vari da persona a persona.

Noi ebrei prendiamo il nostro appellativo, come il nome della nostra religione, dal nostro antenato Giuda, Yehudah, il quarto figlio della matriarca Lea e quindi ci chiamiamo Yehudim. Il nome Giuda deriva dalla parola ebraica che significa “ringraziare.” Difatti quando Lea concepii e partorì suo figlio, dichiarò “Questa volta dirò grazie (odeh) al Signore. E gli diede il nome (Yehudah) Giuda.” La gratitudine quindi è una qualità intrinseca del nostro essere ebrei.

Mi piacerebbe pensare che l’includere un sacrificio di ringraziamento nella lista delle offerte levitiche sia stato un modo della Torà di riconoscere ed anticipare una naturale inclinazione Israelita ad esprimere gratitudine a Dio. Mi piacerebbe pensare che anche noi siamo gente con un’inclinazione verso il ringraziamento, ma so anche che la gratitudine è una qualità che va costantemente curata, apprezzata ed affermata. Come mai?  Perché le persone grate sono più felici e in salute, per non dire della società più salubre che possono collettivamente aiutare a costruire.

 Non credo che questo detto funzioni anche in italiano, ma: TGIF, Thank God It’s Friday (grazie a Dio, è venerdì)

 Shabbat Shalom

Rabbi Whiman