Shabbat Vayakheil 1 Marzo, 2019

Bambini di tutto il mondo conoscono la favola di Riccioli D’Oro e dei tre orsi– un’infelice famiglia orsina, la cui casa venne invasa da Riccioli D’Oro, che la devastò in poco tempo. Mangiò dalle tre scodelle di famiglia, si sedette nelle loro tre sedie e provò i loro tre letti. Per quanto riguarda questi ultimi, trovò che uno era troppo duro, uno troppo soffice mentre uno era felicemente perfetto.

Riccioli D’Oro fu una bambina davvero fortunata. Dato che, dopo aver sperimentato, riuscì ad allineare la sua realtà con il suo preconcetto del desiderabile, dell’atteso e del sufficiente. Alla fine tutto le andò per il meglio.

Questa storia non figura nella porzione di Torà di questa settimana. Parashat Vayakheil continua invece con il racconto della costruzione del tabernacolo. Questa porzione inizia con Mosè che chiede al suo popolo di contribuire con doni per portare avanti la costruzione del santuario– oro, argento, pietre preziose, stoffa pregiata et similia. Dio diede istruzioni a Mosè di accettare doni da chiunque lo facesse con il cuore e la gente non deluse le sue aspettative. La Torà ci racconta che gli Israeliti continuarono a portare doni giorno dopo giorno, fino a che gli artigiani andarono da Mosè e gli dissero : “La gente sta portando più del necessario rispetto al lavoro pianificato” Di conseguenza, Mosè disse al suo popolo di trattenersi dal portare altri doni, perché come recita la Torah, ham’lahchah hayetah dahyahm, i loro sforzi erano stati più che abbastanza rispetto ai lavori necessari.

E’ la parola “abbastanza” che portò al problema del santuario rispetto al materiale a disposizione. Mosè non aveva specificato quanto materiale fosse necessario in nessuno dei settori dove andavano fatti lavori, dimostrando che avere troppo può essere negativo tanto quanto avere poco. Con tutti i lavori necessari alla costruzione del santuario, ce ne volle di tempo prima che questo potesse essere considerato “perfetto”.

Avere abbastanza è essenziale ma difficile da misurare. Dato che “abbastanza” è funzione del desiderabile, dell’atteso e del sufficiente, ed è soggetto ad una varietà di interpretazioni. Quand’è che una persona ha abbastanza soldi, tempo, amore o riconoscimenti? Per ciò che riguarda queste misure, cosa posso aspettarmi da altri e cosa possono aspettarsi da me? In altre parole, cosa e quando é “abbastanza”?

Purtroppo, non esiste un metodo preciso per indicarlo correttamente, ma credo che – tenendo conto degli attributi e dei doni che desideriamo- tutti abbiamo un senso di cosa per noi vuole dire “abbastanza”. Ciò nonostante, la nostra tendenza è di mantenere segreta questa misura, sia agli altri che a noi stessi. Una strategia migliore è comunicare questa misura ed esprimere in maniera candida ed onesta i nostri bisogni alle persone che per noi dovrebbero soddisfarli. Non è giusto considerare responsabili gli altri quando essi non ci danno ciò che non abbiamo loro nemmeno chiesto, e, in misura simile, dare la colpa al prossimo se questi non ha sentito ciò che non abbiamo mai detto. Questo fa pensare alle famoso parole “Non dovrei dirtelo, lo dovresti sapere e basta”. “Dovresti saperlo e basta” è una formula che mostra delusione, ed allo stesso tempo non né giusta né realistica. Può addirittura essere considerato irresponsabile il dare la colpa agli altri di non raggiungere una misura di sufficienza che non potrebbero mai soddisfare. Nessuno può riempire un buco nero..

Come Mosè con il tabernacolo e Riccioli D’Oro con la casa dei tre orsi, raggiungiamo la sufficienza solo tramite una serie di sperimentazioni o meglio tramite una costante negoziazione.

Quindi vi auguro Shabbat Shalom ed un buon riposo sabbatico che possa essere sufficiente per rafforzare e nutrire le vostre anime.

Shabbat shalom

Rabbi Whiman